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Fiagop - La malattia e le opportunità terapeutiche - Trapianto di midollo osseo (TMO)

Il trapianto di midollo osseo (TMO)

Si può ricorrere al trapianto di midollo osseo (TMO), detto anche più correttamente trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE), quando le probabilità di guarigione dal tumore, più spesso dalla leucemia, in alcune forme ad altissimo rischio, eventualmente dopo ricaduta, più raramente in un tumore solido, sono esigue. Essendo un intervento non privo di rischi e potenziali tossicità gravi, nel breve e nel lungo termine, è indicato nei casi in cui vi siano scarse probabilità di efficacia con la terapia standard.
Lo scopo è di potere applicare il “regime di condizionamento”, che consiste di chemioterapia ed eventualmente radioterapia, a dosi particolarmente intense da poter distruggere completamente le cellule tumorali o leucemiche, "guarendo" il paziente da residui dal tumore o della leucemia e creando lo spazio perché possano attecchire le cellule del donatore.

Le dosi del regime di condizionamento non sarebbero compatibili con la vita, se non fossero seguite dall’infusione del midollo del donatore, in quanto porterebbero alla eradicazione completa anche del midollo osseo, che non potrebbe, quindi, ricostruire sé stesso e le cellule del sangue, portando alla morte per emorragia e infezione.
Con il trapianto si pratica una chemioterapia ad altissime dosi e una irradiazione corporea totale, distruggendo tutte le cellule tumorali insieme al midollo osseo del paziente, e un nuovo midollo osseo viene infuso tramite una semplice trasfusione, che va spontaneamente a ripopolare gli spazi midollari delle ossa del bambino, dove riprende a crescere e a funzionare. Il midollo osseo del donatore da trapiantare deve avere un alto grado di compatibilità (si dice HLA compatibile, HLA è un sistema “di identificazione” dei nostri tessuti) con il bambino malato, per evitare fenomeni di rigetto e il fallimento dell'intervento.

Il donatore può essere lo stesso bambino (autotrapianto o trapianto autologo), in questo caso non ci sono problemi di compatibilità. Quando il midollo è sano o in remissione, si può prelevarlo e “criopreservarlo", cioè conservarlo in congelatore controllato a bassissima temperatura (-180°C!). Dopo aver praticato una terapia molto intensa in grado di distruggere anche il midollo rimasto nel corpo, viene reinfuso.
Questo metodo viene utilizzato particolarmente nei tumori solidi perché il midollo osseo non è colpito dalla malattia e quindi non vi è il rischio di reinfusione della malattia con il midollo infuso. Questo tipo di trapianto è indicato soprattutto negli stadi avanzati di alcuni tumori solidi pediatrici a prognosi severa (linfomi maligni, neuroblastoma, tumori ossei, tumori del SNC, rabdomiosarcomi) o che rispondono scarsamente al trattamento antitumorale tradizionale.

Oggi è più frequente utilizzare le cellule del sangue periferico mobilizzate con chemioterapia seguita da fattore di crescita, che favorisce l’immissione in circolo delle cellule staminali.
L'autotrapianto viene utilizzato più raramente con i malati di leucemia, e richiede particolari accorgimenti. Il midollo viene prelevato in anestesia quando il paziente è in remissione, senza segni né sintomi della malattia, talvolta viene sottoposto a “purificazione” da eventuali cellule malate, per poi essere congelato e conservato. Più spesso, con le leucemie, si rincorre al TMO da donatore (allogenico) perché nell'autotrapianto nei leucemici, i pazienti tendono a ricadere per la grande difficoltà a eradicare tutte le cellule leucemiche residue nel midollo durante il condizionamento. Il midollo allogenico, che non è perfettamente compatibile, ha più possibilità di riconoscere come estranee eventuali cellule tumorali leucemiche residue.

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Nel trapianto allogenico il donatore ottimale è HLA compatibile al ricevente secondo il codice codificato dal sistema HLA, in maniera tale da ridurre il rischio di rigetto, cioè di mancato attecchimento.
La compatibilità richiesta per il trapianto di cellule staminali è più elevata che per la donazione di sangue o di organo.
Teoricamente il donatore ideale sarebbe un fratello gemello “monocoriale”, cioè che condivide lo stesso esatto corredo di geni (trapianto singenico). In realtà nei riceventi trapiantati da un gemello identico vi è un maggior rischio di ricaduta della malattia, poiché il sistema immunitario, identico a quello del ricevente, può essere meno efficiente nell’eliminazione di eventuali residui di cellule malate.
I donatori ideali si trovano, quindi, tra i fratelli non gemelli identici, che hanno ereditato gli stessi aplotipi HLA. Le probabilità che un fratello sia compatibile con il bambino malato sono circa del 25%.
In assenza di un fratello compatibile si può procedere alla ricerca di un donatore nella popolazione generale (trapianto allogenico da MUD = "matched unrelated donor" o donatore compatibile non familiare). Esiste in Italia, come in altre nazioni, un Registro (IBMDR) che contiene i nomi delle persone che si sono rese disponibili per questa donazione e che sono già state "tipizzate" tramite un piccolo prelievo di sangue. Ad aprile 2021 gli iscritti al Registro italiano sono circa 460mila, grazie anche agli sforzi di ADMO e ADOCES che sensibilizzano l'opinione pubblica sull'importanza di questo tipo di donazione e raccoglie donatori per il Registro. I donatori non familiari nel mondo riportati come disponibili nel registro WMDA (Worldwide Marrow Donor Association) sono circa 39 milioni! In molti casi il donatore può essere un genitore o un fratello non completamente compatibile, per esempio compatibile solo per metà, come nel caso del trapianto “aploidentico". Grazie allo sviluppo della ricerca clinica, che ha individuato le procedure necessarie per evitare il rigetto del materiale non compatibile e limitare soprattutto la gravità della GVHD, questa pratica si sta diffondendo anche grazie alla facilità, in questo caso, di trovare un donatore, in particolare in pediatria, visto che la stragrande maggioranza dei pazienti dispone di un genitore.

La procedura

del trapianto il midollo osseo consiste nel prelevare dal donatore, dall'interno delle ossa iliache del bacino, il sangue midollare” (simile al sangue che scorre nelle vene e che si preleva per gli esami ematochimici) per semplice aspirazione con un ago speciale, in genere in anestesia generale. Il donatore può essere ricoverato per 24-36 ore. Non rimane che un piccolo indolenzimento nelle aree di aspirazione, e il midollo prelevato per la donazione viene rimpiazzato nel giro di pochi giorni, facendo sì che di fatto, l'unico rischio per il donatore sia quello anestesiologico.
In alternativa al midollo osseo possono essere utilizzate le cellule staminali del sangue periferico dopo stimolazione con fattore di crescita, che si somministra al donatore per via sottocutanea. Le cellule cosiddette “perifericheoffrono, rispetto al midollo, alcuni vantaggi, quali la numerosità e quindi il più rapido attecchimento del trapianto e la riduzione dei tempi di aplasia e, potenzialmente, di rigetto, e alcuni svantaggi, in particolare l’aumentato rischio di malattia del trapianto contro l’ospite. Viene preferito nel contesto di ricevente adulto, di peso elevato, con malattia avanzata.
Al ricevente, dopo il regime di condizionamento che uccide sia le cellule tumorali/leucemiche sane che le cellule del midollo osseo, viene infuso per trasfusione il midollo prelevato dal donatore, che va spontaneamente a collocarsi nella giusta sede midollare, nelle cavità all'interno delle ossa, e inizia a produrre per moltiplicazione cellulare nuove cellule emopoietiche. Il tempo necessario alla preparazione del paziente per il trapianto, al trapianto stesso, all'attecchimento del nuovo midollo osseo trapiantato con la relativa produzione di nuove cellule ematiche in numero sufficiente, è di circa un mese, da trascorrere ricoverato in isolamento, all'interno di speciali camere o reparti "a bassa carica microbica".

È anche possibile donare cellule staminali dal sangue periferico. Nei 4-5 giorni precedenti la donazione, al donatore vengono somministrate ripetute dosi di “fattore di crescita”, che stimolano la produzione di cellule staminali emopoietiche, permettendo il prelievo di queste cellule con una procedura di aferesi, in centri trasfusionali attrezzati, usualmente senza il ricovero in ospedale e senza anestesia.

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